DA DeriveApprodi 1992
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D e r i v e A P P R O D l
Egregio Direttore,
Le invio questa lettera consapevole del fatto
che troverà più di una buona ragione per non
pubblicarla. Se così fosse non mi permetterei
comunque di biasimarla. Mi rendo perfettamente
conto che il contenuto è piuttosto imbarazzante e
che qualcuno tra i suoi autori, collaboratori,
nonché lettori, potrebbe impermalirsi o peggio
ancora offendersi, arrivando persino alla drastica
conclusione di ritenere opportuno abbandonarla.
Stando così le cose mi accontenterei del fatto che
queste note - assolutamente sincere - possa
leggerla almeno Lei, che so persona intelligente e
sensibile, in modo che abbia occasione di
riflettere sul senso di ciò che sta facendo e sulla
qualità della pasta di cui son fatte le persone
che, in un modo o nell'altro, La circondano.
Pur non conoscendola a fondo ammetto di
provare nei suoi riguardi un curioso sentimento
che non so spiegarmi appieno; forse un misto tra
simpatia e istinto di protezione, quella protezione
che le persone come me, per necessità fatte
esperte dagli intrighi e dagli affanni della vita,
provano per quei propri simili di cui intuiscono un
modo d'essere insieme generoso e ingenuo.
Per sgombrare il campo da possibili equivoci
le svelerò subito la mia reale identità che da
lungo tempo, e a dire il vero con mio stesso
rinnovato stupore, riesco a mantenere facilmente
celata pur aggirandomi con disinvoltura in
quegli ambienti che in buona parte costituiscono
il riferimento dell'iniziativa editoriale di cui Lei è
responsabile. Lo avrà senz'altro intuito, sì, sono
un giovane funzionario dei Servizi Informativi
infiltrato in quegli ambienti cosiddetti "di
movimento". Con una punta di orgoglio
professionale, che spero Lei non voglia intendere
come segno rivelatore di una vacua vanità, credo
di poter affermare d'essere quel che
comunemente si definisce un insospettabile, una
persona cioè che, paradossalmente, gode della
più completa stima di tutti coloro che con
scrupoloso zelo si ritrova a controllare. In
sostanza Le sto qui dicendo che già da tempo mi
dedico alla vigilanza sistematica di quanto fate,
o, sarebbe meglio dire, tentate di fare.
Le confesso che da quando ho ricevuto questo
incarico mi ritrovo spesso a pensare con
rimpianto ai bei tempi in cui ero addetto al
controllo di quei luoghi chiamati "centri sociali",
luoghi di per sé scarsamente ariosi nonché, per le
finalità del nostro Ufficio, del tutto insignificanti.
Luoghi forse saliti agli onori della cronaca più per
miopia di funzionari statali rozzi e sciocchi che
per meriti propri. Comunque sia un'ammissione
la devo fare: mi divertivo per davvero. Serate a
scolare litri di birra, a ricevere e passare
fraternamente spinelli in un clima soporifero e
insieme caldo e familiare anche se a volte
disturbato da ragazzini abbrutiti in compagnia di
stupidi cani pulciosi. E poi quegli sfoghi chiassosi,
dilettanteschi ma così carichi di energia vitale
che un po' presuntuosamente vengono definiti
"concerti". Non ho vergogna di confessare che
più di una volta mi è capitato di divertimi come
un matto a ballare, a saltare, a sgomitare e una
mia foto in quel periodo finì addirittura sulle
pagine culturali del quotidiano comunista "Il
manifesto".
Il mio lavoro in quel contesto non era affatto--
difficile poiché praticamente, di rilevante, non
accadeva quasi nulla. Tra l'altro ho potuto
constatare che la beata ingenuità di questa gente
era tale da convincerli che la funzione repressiva
era effettiva solo nei casi in cui si manifestava
nella forma esplicita della visibilità. Non
ravvisando col colpo d'occhio la presenza fisica
del "nemico" arrivavano bellamente a illudersi
d'essere addirittura da lui temuti. Ciò che non
aspettavano minimamente era il fatto che il loro
"nemico" più non si manifestava fisicamente e più
dimostrava di svolger bene il proprio compito che,
prima di reprimere brutalmente, è sempre quello
di prevenire scientificamente controllando per
a pere dove vi è vero pericolo e dove vi è invece
solo velleità impotente e insignificante ai fini del
reale mantenimento dell'ordine esistente delle
cose. Neanche lontanamente si immaginavano
infatti qual' era la quantità e la qualità
dell'armamentario in uso alle strutture addette al
loro controllo. Ciò di cui non si rendevano
minimamente conto era che il lasciar loro passare
alcune piccole trasgressioni, fraintese con spirito
trionfalista come conquiste di chissà quale
maggiore libertà, o era scelta calcolata come il
danno minore in una determinata situazione o
era scelta calcolata di strumentalizzazione in
rapporto a giochi di potere di cui costoro non
sapevano neppure lontanamente intravedere la
complessità e gli intrighi.
Comunque, al di là di tutto ciò, per essere ben
accetto da queste persone bastava confermar
loro l'assoluta seriosità con cui si prendevano sul
serio. Bastava non incrinare
l'autorappresentazione ideale che si erano fatte
di se stesse e che l'informazione ufficiale per
calcolato interesse confermava loro tramite i suoi
rodati canali. Bastava avere la misurata
accortezza di non scalfire in alcun modo la
sensibilissima pelle che rivestiva quella loro
difficile e precaria identità. Bastava capire che,
per dato costitutivo o per necessità, queste
persone non erano avvezze al metodo dell'ironia
e dell'autoironia, men che meno poi a quello
della critica e dell'autocritica.
Consapevole di tutto ciò mi limitavo a
prendere svogliatamente nota di qualche
proposito sinistro quanto fallace pronunciato a
margine delle poche, stanche e perlopiù inutili
riunioni. La verità era che per riempire i fogli delle
note informative dovevo dar fondo a tutta la mia
fantasia. Nonostante ciò i miei superiori mi
guardavano sempre più perplessi, talvolta
sospettosi. Il guaio stava nel fatto che, volente o
nolente, quella era la realtà. Anche a sforzarsi
non succedeva nulla che potesse in qualche
modo seriamente interessare i delicati compiti di
un Ufficio come il nostro. Alla fine, per non
sentirmi così ingrato e per dare una minima
soddisfazione a coloro i quali, in fondo, mi
davano il pane quotidiano, ho pensato bene che
mi conveniva inventar qualcosa di più suggestivo
e colorito. Se non proprio dei fatti almeno
qualche loro presupposto. È stato così che, del
tutto casualmente, in una delle mie note
informative ho tirato in ballo la sua rivista. Da lì
è nato il mio incarico attuale. Lo vede Direttore
come a volte nella vita, casualmente, una cosa
ira l'altra?
È stato così che mi sono ritrovato preposto a
controllarvi. Da lì sono nati i miei crucci e le mie
ansie poiché, per meglio svolgere illusoro, mi era
fatto obbligo di dover innanzitutto capire cosa
dicevate sui quei vostri fogli. Non ho mai
maledetto abbastanza questo incarico. Ricordo
notti insonni passate a leggere e rileggere articoli
incomprensibili, a decrittare quel linguaggio
oscuro e astratto di cui spesso mi sfuggiva il
senso . Peggio degli esami universitari più duri,
peggio dei corsi di formazione che ho dovuto
sostenere quando ho fatto ingresso nei Servizi.
Insomma il peggio del peggio. In più, come già
sospettavo, senza alcuna sensata ragione.
Fortuna vuole che io sono uno che le cose se le
deve fare le fa bene, ci metto costanza, dedizione,
metodo, d'altronde ero così anche da bambino.
Infatti alla fine ci sono riuscito: ho imparato
talmente bene quella vostra lingua inutile che
ora sono in grado di farne sfoggio disinvolto
riscontrando il beneplacito degli astanti. Ma Le
dirò di più: sono finito addirittura col figurare a
pieno titolo nella celestiale casta dei vostri
intellettuali. E siamo al punto, dato che mi
ritengo così in grado di svelarLe cosa credo di
aver capito di questa mia nuova congenere.
Comincerò dicendo che occorre innanzitutto
dividerli in due categorie: quelli di "prima
schiera" e quelli di "seconda schiera".
Gli intellettuali di "prima schiera", gli
intellettuali in senso proprio, o vivono appartati
in ambiti domestici da dove di tanto in tanto
lanciano rancorosi messaggi in bottiglia, o vivono
asserragliati in noiose riviste da mille copie tirate,
trecento vendute, cento lette e, quando va di
lusso, cinquanta capite (tra queste Direttore -e
spero che non me ne vorrà - purtroppo c'è da
mettere in conto anche la sua). Buona parte del
tempo questi intellettuali più "impegnati" lo
passano a difendere istericamente il loro orticello
convinti che ciò gli conferisca l'ambìto status di
produttori di una cultura se non rivoluzionaria
almeno "all'altezza dei tempi". Senza timore di
esagerare posso riferirLe che vivono alquanto
male perché spesso in preda a una vera e propria
paranoia causata dalla paura di non vedere
riconfermata la presenza del loro pubblico, una
platea peraltro tanto minuscola da collimare
quasi con l'insignificanza. A conti fatti quel che
costoro esprimono, al di là di teorizzazioni
alquanto approssimative, azzardate e confuse,
sono i velenosi sentimenti della vanità, della
supponenza, dell'arroganza, della presunzione,
della gelosia, dell'invidia, dell'alterigia, della
competitività, del settarismo. Dico questo perché
mi è capitato spesso di avere con alcuni di loro
lunghe conversazioni notturne in pizzeria o più
semplicemente davanti a un semplice bicchiere di
vino sempre da riempire. Quante volte mi è
toccato dispensare consolatorie pacche sulle
spalle e consigli suggeriti con alito affettuoso nel
tentativo di mettere un qualche freno alloro
sentimento di disperazione derivato
dall'accumulo delle frustrazioni subite. Mai come
in quelle circostanze mi sono reso conto del vero
dramma che alberga nell'animo degli intellettuali
rivoluzionari incompresi.
Vengono poi gli intellettuali di "seconda
schiera", la cosiddetta "nuova leva", gli
inconsapevoli piccoli bricoleurs del postmoderno, i
gagliardi quanto fragili giovanotti forgiati in
approssimativi gruppi di studio dove hanno
frettolosamente letto dieci libri, ne hanno magari
sfogliati altri dieci convincendosi di aver così capito
tutto del meglio del pensiero rivoluzionario. Ansiosi
di gettarsi nell'arena dell'azione costoro si ritrovano
a pasticciare con gioiosa goliardia attorno a cose
effimere e autoreferenziali che, appunto a sé e a
pochi altri che li contornano, vanno spacciando per
ardite "sperimentazioni" all'altezza delle mutazioni
sociali in corso. Una maniera come un'altra per
ammazzare simpaticamente il tempo e gli studi
giovanili nell'attesa d'essere poi, con tutta
probabilità, ricondotti docilmente da papà sulla più
savia via della gestione della bottega di famiglia.
In queste ardite "sperimentazioni" sono
confluiti anche una parte di coloro che passando
lunghi anni nei cosiddetti "centri sociali"
divenendo "esperti" dell'organizzazione del tempo
libero "alternativo", si sono convinti di aver
maturato "sul campo" una formazione da raffinati
operatori culturali. In realtà questi autoconvinti
assertori di uno stile di vita "altro"rappresentazione
vivente e prova provata di critica
radicalissima alla cultura, alla moralità e alle
regole della società attuale- quando odono in
lontananza il tintinnio dello scodellare della
pappa della mamma si precipitano a tavola con
la velocità del fulmine non disdegnando in
seguito sane pennichelle in comodi letti
benevolmente garantiti dalle loro famiglie non di
rado appartenenti a ceppi benestanti. Ormai a
cavallo dei fatidici trent'anni, disperatamente alla
ricerca di pretesti in grado di prolungare quanto
più possibile le vantaggiose condizioni offerte
dallo status adolescenziale, resi sempre più
insofferenti dall'irrespirabile clima di alienazione
di quei luoghi chiusi in cui hanno trascorso
praticamente la loro non proprio spensierata
giovinezza, hanno recentemente deciso di aprirsi
al mondo percorrendolo, secondo la moda del
momento, con uno spirito da "deriva", con
scorribande "nomadiche" nonché
"psicogeografiche", certi di poterlo contaminare
con quei micidiali "virus della sovversione" che si
sprigionerebbero dalle loro soggettività irriducibili
all'ordine dell'esistente. A vederli all'opera
sembrano quei bambini che i genitori portano di
tanto in tanto al lunapark: vengono presi tutti
dalla stessa agitata euforia alla vista delle ultime
macchinette sprizzanti luci e rumori n i offerte dal
sempre fiorito mercato del divertimento. Così
l'approccio "Iudico" alla tecnologia informatica, di
basso o bassissimo livello, viene proclamato come
processo in atto di seria appropriazione degli
strumenti più avanzati della comunicazione e
della produzione della ricchezza sociale, un
processo che, da qui a non si capisce quando,
dovrebbe portare a dire agli odiati capitalisti
sfruttatori: e adesso voi a cosa servite più? Da
parte please!
Dinamici e gioviali, gli intellettuali di "seconda
schiera" bruciano il loro tempo più o meno in
questo modo perché, avvertendo di non poterlo
comprendere e controllare, ne hanno
fondamentalmente una grande paura. Non a caso
man mano che il sentimento dell'orror vacui
accompagna l'uscita dalla giovinezza, il
giovanilismo diventa sempre più la loro
specializzazione. Seguendoli nella spasmodica
ricerca di modi e luoghi adatti a stabilire rapporti
con i nuovi adolescenti mi è capitato di ritrovarmi
in affollati raduni dominati da un clima da
discoteca riminese degradato e vagamente
satanico. In queste occasioni, non so bene
come e perché, seguendo gli usi in voga tra una
buona parte dei presenti, mi sono ritrovato in gola
noni me pasticche che contribuivano a
determinare nella mia psiche uno stato alterato di
lucida euforia che sottoposto alle sollecitazioni di
una musica dai ritmi ossessivi mi faceva
catena re, come tutti gli altri presenti del resto, in
una danza liberatoria che si protraeva per dodici o
tredici ore. Esperienze che i miei superiori non
potrebbero mai comprendere e che io, d'altra
parte, mi sono sempre guardato bene dal riferirgli .
Ma torniamo a noi. Dalla cosiddetta "editoria
alternativa", che dovrebbe fornire solido supporto
materiale al diffondersi delle culture
rivoluzionarie, ho potuto constatare che
emergono in tutta evidenza i caratteri
dell'occasionalità ideativa, del pressappochismo
organizzativo, del dilettantismo volontaristico.
erta mente si assiste all"'autoproduzione" di libri
libricini, di riviste e rivistine ma la maggior
parte di questo materiale va poi disperso in un
disordinato circuito distributivo costituito da
'banchetti" esposti in occasione di feste, festival
convegnucoli vari, in improbabili "centri di
documentazione", in piccole e precarie librerie
parse per l'Italia gestite tra mille difficoltà
economiche da personaggi generosi, romantici e,
per forza di cose, depressi. l contenuti di questi
agli spaziano dalla riproposizione di brani
dell'ortodossia del pensiero rivoluzionario in tutte
le sue salse alle tematiche più azzardate e
deliranti che emergono da un dibattito caotico
senza capo né coda. Insomma, secondo me, si
ratta di roba utile solo a gratificare il piccolo
narcisismo di chi la fa, per il tempo che la fa.
Mi rendo conto che a questo punto Lei avrà
ravvisato, in talune mie espressioni, oltre che un
tono saccente anche una concitata quanto
impropria partecipazione emotiva condita da un
celato sentimento di rancore che non dovrebbe
confacersi a persona di fatto esterna ai
enti menti di questo vostro universo relazionale.
Eppure è più forte di me, va oltre i limiti di ciò
che sarei tenuto per dovere registrare. Sì, lo dico
fuori dai denti e oltre le mie competenze: in
!cune circostanze provo un moto di indignazione
verso chi si ammanta di un determinato ruolo
alo per ricavarne un qualche miserabile
privilegio di potere. Queste mentalità e queste
pratiche dovrebbero appartenere strettamente a
un universo che, come il mio, non ha alcuna
pretesa di modificare il corso delle cose. Mi
chiedo cioè: non dovrebbero queste persone
essere più libere di me da simili retaggi? La verità
' che in questo ambiente si coglie in tutto tondo
il riprodursi della stessa contraddizione che in un
recente passato ha prodotto flagelli inenarrabili.
l: unico suo alibi ed effimero vantaggio è quello
i sapere che questa contraddizione irrisolta per
il momento non corre il rischio di essere
sottoposta alle verifiche che quel passato aveva
reso non più rinviabili. Il problema, per chi in
questo ambiente si ritaglia forme di potere, mi
pare in sostanza resti lo stesso di un tempo e, alla
fine, quello di sempre: la paura di guardarsi allo
specchio domandandosi se il proprio bisogno di
potere è migliore di quello che dice di voler
o m battere.
È anche per questi motivi che credo Lei troverà
più di una difficoltà nel trovarsi a decidere se
pubblicare o meno questa lettera. Qualcuno che
magari in altre circostanze predica con
eccitazione i vantaggi offerti dall'omonimia
evocherà il futile pretesto dell'immoralità che
sempre accompagna la scelta dell'anonimato
dimenticandosi per quell'attimo che l'omonimia
intesa in senso assoluto contiene in sé anche
l'anonimia. Propendere per l'avere tutti lo stesso
nome non corrisponde infatti, in un certo senso, a
non averne alcuno? Quanta anonimia vi è, per
fare un esempio, nell'uso orizzontale e, volendo
usare un termine che fa charme, "rizomatico" del
nome Luther Blissett? O ci si deve preoccupare
dei lati oscuri, sgradevoli, dell'anonimia solo
quando essa non afferma compiacenza? Ma a
parte queste banalità per ostacolo più concreto
avrà soprattutto chi, identificandosi
inevitabilmente in qualcuno dei passi di questo
scritto, reagirà prevedibilmente con l'impeto di
chi si sente ferito nell'orgoglio della propria
identità; quella stessa identità che- con falsa
coscienza- va sbandierando ai quattro venti di
voler sottoporre a serrata e spietata critica.
Comprensibile è, d'altra parte, la sensazione di
angoscia che attanaglia chiunque avvezzo a
portare maschere si ritrovi tutto d'un tratto
smascherato. Nulla è più pericoloso dello
scompaginare il precario equilibrio dell'animo dei
deboli poiché costoro troveranno in sé, come
reazione obbligata, solo l'arma dell'aggressività.
Comincerà allora il rituale degli avvertimenti
preventivi con finalità dissuasiva pronunciati con
il mezzo tono del consiglio amichevole e il
restante tono della minaccia ve lata riguardo
probabili guai incombenti. Quello stesso rituale
insomma che ha riprodotto nei secoli la
mentalità che ha reso famosa in tutto il mondo
la massima istituzione di potere del nostro paese:
la mafia. Se infatti il destinatario di tali "consigli"
non desisterà costoro passeranno alla pratica
dell'orchestrazione dell'intrigo, ovvero daranno il
via a quel fitto chiacchiericcio calunnioso
praticato dietro le quinte e finalizzato a
diffondere quanto possibile un sistematico
discredito e isolamento. Se ciò ancora non
basterà questa semina mirata ad ottenere un
calcolato disprezzo verso di Lei avrà come
raccolto un odio insensato presso la categoria
degli stupidi che, come si sa, sempre abbondano
in ogni dove, quegli individui che, resi inebetiti e
terrorizzati dalla vita quotidiana, per dare un
qualche sfogo alla loro disperazione sono sempre
pronti a trasformarsi in squallidi terroristi di un
minuto. A ben vedere il racket della politica,
ammantata o meno dall'elemento antagonista,
non è dissimile da qualsiasi altro racket. Il che
equivale a ciò che diceva il poeta riferendosi ai
politicanti di tutte le risme:" ... Ma cosa si
nasconde dietro le invereconde maschere? Il Male
che dicono di combattere? ... Toglieteceli davanti.
Per sempre. Tutti quanti."
Eh sì, duole dirlo ma questo estremismo finge
a se stesso di dilettarsi su chissà quale tavola
imbandita mentre in realtà si arrabatta giorno e
notte a raccattare avanzi dai cassonetti della
propria miseria per prolungare le condizioni di
una sopravvivenza senza progetto di
un'alternativa sociale anche solo parzialmente
credibile. Certo che la speranza è sempre lodevole
ma tocca dire che il senso dell'esistenza che
questo tipo di rivoluzionari hanno deciso di
ritagliarsi nel presente ricorda l'efficacia che può
avere uno spaventapasseri piazzato nell'aiuola
spartitraffico di un'autostrada.
Come vede Direttore si tratta di un panorama
piuttosto desolante e devo dire, per quel che
egoisticamente mi riguarda, decisamente poco
stimolante sia per la crescita della mia
professionalità che della mia carriera. Infatti Le
confido che sto seriamente meditando di
avanzare formale richiesta di trasferimento ad
altro incarico. L'avverarsi di questa eventualità
però mi spiacerebbe perché in fondo, col tempo,
a questi ambienti e alle persone che li
frequentano mi ci ero abituato e, un poco, anche
affezionato.
Per non rischiare di dilungarmi in eccesso
vorrei concludere permettendomi di darle alcuni
consigli che spero non voglia intendere come
irriguardosa invadenza confidenziale. Ovviamente
Direttore io l'ho spiata, l'ho pedinata, ho
ascoltato le sue conversazioni telefoniche, anche
quelle più intime con Paola e con Cristina e ho
fatto il resto che ero tenuto a fare da
regolamento impostomi. Da tutto ciò ho tratto la
convinzione che la rivista in oggetto per Lei non è
altro che un hobby, un hobby, tra l'altro,
sicuramente meno importante degli altri che Lei
coltiva con maggior passione e che, come
sappiamo entrambi, le danno ben altre
soddisfazioni, cioè il polo e la barca a vela. Pur
stando così le cose ho però il timore che non si
renda appieno conto del rischio che sta correndo
in cambio di quanto va esibendo con una punta
di istrioneria nei salotti buoni di quello che poi in
realtà è il suo vero ambiente naturale. Non sto
dicendo che quegli avanzi di galera che affollano
l'indice della sua rivista, quei personaggi
irrimediabilmente falliti nelle aspirazioni, nella
carriera come nella vita, possano costituire ormai
un qualche serio pericolo per chicchessia, il loro
semmai è un moto inerziale conseguente alla
rivoluzione che hanno saputo fallire. Le dirò anzi
che provo un certo struggimento nell'osservar! i
incamminati in modo così dimesso e inglorioso
sul via le di un tramonto che non vogliono o non
sanno o non possono accettare. No, il possibile
pericolo non è tanto rappresentato da costoro
quanto piuttosto da qualche giovanotto
pericolosamente armato di una toga da giudice,
qualcuno di quei personaggi invasati
dall'orgoglio di appartenere a una corporazione il
cui potere in questo momento è difficilmente
arginabile. Sa com'è, l'ho già detto e dimostrato:
nella vita una cosa tira l'altra e non si sa mai
dove si va a finire.
Mi dia retta Direttore, se proprio vuole fare
una rivista ne faccia magari una di nautica visto
che l'argomento l'appassiona tanto. Potrebbe
addirittura usare la stessa testata:
"DeriveApprodi", come il cacio sui maccheroni.
Magari potrei anche trovare il modo di aiutarla.
Ci pensi sopra, interroghi la sua coscienza e il suo
buon senso.
Concludo qui sperando di averle dato utili
consigli e di non aver abusato troppo della sua
cortese .attenzione.
Ossequi a Lei e alla sua Signora
un modesto ma sincero amico
o, se l'aninimato la disturba, LutherBiissett